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Dal 1° luglio 2021 qualunque vendita online ad un privato di altro Paese UE dovrà essere assoggettata all’IVA del Paese di destinazione. Non sarà, però, necessario identificarsi aprendo una partita IVA in ogni Paese in cui l’impresa ha clienti: il venditore potrà avvalersi della procedura informatica, accentrata presso la propria Amministrazione finanziaria, che consentirà di “fermarsi una sola volta” (one stop), versando distintamente l’IVA di ogni Paese. L’aspetto di (prevedibile) maggiore criticità riguarderà l’esatta individuazione dell’aliquota applicabile. A tal fine la Commissione europea metterà a disposizione un file con tutte le aliquote. Ma cosa potrà accadere in termini di accertamento e di contenzioso in un altro Stato? L’auspicio è che, in caso di errore, la contestazione sia limitata all’imposta e non si estenda alle sanzioni.


Il confinamento a casa per prevenire la diffusione della pandemia ha fatto crescere in modo esponenziale gli acquisti di beni, ordinati online da parte delle famiglie. I molti che hanno fatto ricorso a questa modalità di approvvigionamento si sono resi conto che l’ordine sulla più grande piattaforma (ma lo stesso avviene su tutte) viene talora evaso direttamente dal gestore, che garantisce consegne veloci e spesso a costo zero a chi beneficia della condizione “prime”. Ma la maggior parte degli articoli viene espressamente identificata con il nome del fornitore, che provvede direttamente alla spedizione al cliente privato, con la richiesta di un contributo per la consegna.
Notizie di questi giorni ci segnalano che da giugno 2019 a maggio 2020 oltre 60 milioni di prodotti sono stati comprati sulla principale piattaforma, contro i 45 milioni del precedente periodo. Il dato statistico più interessante riguarda il numero delle 14.000 piccole e medie imprese italiane attive sul sito, che hanno venduto all’estero merci per più di 500 milioni di euro. Per quanto possa valere una media, ognuna di queste imprese ha conseguito ricavi transnazionali per circa 36.000 euro all’anno.

Le vendite a distanza nell’Unione europea

Questa definizione viene utilizzata nella prassi sin dall’introduzione delle regole sugli scambi intracomunitari. I criteri sono due: l’acquirente non deve essere un soggetto d’imposta (o, come si usa dire, deve trattarsi di un “privato”) e la merce deve essergli spedita dal fornitore, in uno Stato diverso da quello di origine. Nel nostro ordinamento nel D.L. n. 331/1993 è inserita un’esemplificazione relativa alla modalità di formulazione dell’ordine “in base a cataloghi, per corrispondenza e simili”, che aveva portato a notevoli incertezze, tanto che il legislatore dovette intervenire (art. 11-quater, D.L. n. 35/2005, introdotto dalla legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80) per affermare l’irrilevanza della modalità con cui la merce viene ordinata.
La nozione di “vendite a distanza” sarà formalizzata dal 1° luglio 2021, nel paragrafo 4 dell’art. 14 della vigente direttiva (n. 2006/112/CE), con l’ulteriore puntualizzazione recata dal nuovo art. 5-bis del regolamento UE n. 282/2011, di esecuzione della direttiva, per far considerare come spedito dal fornitore – e quindi soggetto alle regole delle vendite a distanza – anche l’invio curato da un vettore, che il cliente privato ha scelto a seguito della messa in contatto da parte del fornitore. Oppure quando il venditore abbia comunicato in altro modo a un terzo le informazioni necessarie per la consegna dei beni al consumatore.
Questa precisazione assume notevole rilievo per le vendite originate in Paesi con aliquota inferiore a quella del Paese di destinazione. Per beneficiare dell’aliquota più favorevole si eludeva la disciplina delle vendite a distanza, facendo figurare che il vettore era stato scelto di iniziativa del consumatore residente nell’altro Stato. E ciò in quanto l’introduzione di beni da un altro Paese UE curata da un privato non determina alcuna operazione intraunionale, a differenza di quanto avviene nell’esercizio di impresa.

L’uscita dalle “soglie di protezione”

Il principio generale degli scambi intraunionali, sia tra imprese che verso i privati, è quello di applicare l’imposta a destino, in quanto l’IVA ha sicuramente la natura di un’imposta di consumo.
Per evitare che i venditori di beni ai privati di altri Paesi UE dovessero aprire partite IVA in qualsiasi altro Stato di possibile destinazione dei beni, erano state introdotte le cd. “soglie di protezione”. In altri termini ciascuno Stato tollera che entrino beni destinati ai privati, per i quali l’IVA applicata è quella dello Stato di origine e non di destinazione.
La soglia generale è di 35.000 euro, come insieme di tutti gli acquisti fatti dai privati di quel Paese, provenienti dal medesimo fornitore di un altro Stato. La soglia è di 100.000 euro solo per alcuni Stati (Germania, Olanda, Lussemburgo). Questi limiti sono correttamente formulati come deroga al principio di territorialità, anche se non sono facilmente controllabili da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato di destinazione, considerando la miriade di spedizioni destinate ai consumatori.
Dal 1° luglio 2021 queste soglie verranno meno (salvo una deroga generalizzata per i piccolissimi fornitori, pari a 10.000 euro per il totale delle vendite nell’insieme dei Paesi europei) e pertanto qualunque vendita a un privato di altro Paese UE dovrà essere assoggettata all’IVA del Paese di destinazione.

Il Sistema OSS – One Stop Shop

Come già sperimentato per i servizi online, nel cd. mini One Stop Shop non sarà però necessario identificarsi, cioè apire una partita IVA, in ciascuno dei Paesi in cui l’impresa ha dei clienti, in quanto il venditore potrà avvalersi della procedura informatica, accentrata presso la propria amministrazione finanziaria, che consentirà di “fermarsi una sola volta” (one stop), versando distintamente l’IVA di ogni Paese.
In questo ambito l’aspetto di prevedibile maggiore criticità riguarderà l’esatta individuazione dell’aliquota applicabile. La Commissione europea metterà a disposizione un file con tutte le aliquote, a condizione che il fornitore riesca a collocare correttamente il bene venduto rispetto alla Nomenclatura Comune della tariffa doganale. Meglio non pensare a cosa può accadere in termini di accertamento e di contenzioso in un altro Stato: si auspica che in caso di errore la contestazione sia limitata all’imposta e non si estenda alle sanzioni.