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Caso del giorno

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Cooperative sociali: il rimborso spese spetta anche ai soci volontari

Anche per i soci volontari delle Cooperative sociali vale il principio generale della rimborsabilità al volontario delle sole “spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo”. È quanto ha chiarito il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella nota n. 10979 del 22 ottobre 2020.

Con nota n. 10979 del 22 ottobre 2020, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce chiarimenti in merito all’applicabilità ai soci volontari di una cooperativa sociale (impresa sociale ex lege ai sensi del d. lgs. n. 112/2017) la previsione contenuta nell’art. 17 comma 4 del d. lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore), riguardante una deroga alla regola generale secondo cui ai volontari che prestino la propria attività per gli enti del Terzo settore le spese sostenute possono essere rimborsate solo a fronte della presentazione della integrale documentazione probatoria.

Normativa

La disposizione oggetto del chiarimento riguarda in sostanza la figura del volontario e l’attività di volontariato. Il codice del Terzo settore esprime il principio generale della rimborsabilità al volontario delle sole “spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo”. In pratica ammette che l’organo sociale competente possa deliberare, per tipologie di spese e attività previamente definite (ad esclusione di quelle aventi ad oggetti la donazione di sangue e di organi), che le spese sostenute dal volontario possano essere rimborsate, entro i limiti di € 10,00 giornalieri e € 150,00 mensili, a fronte della presentazione di un’autocertificazione sostitutiva.
Con riferimento alle cooperative sociali, la normativa di riferimento dispone che, oltre ai soci previsti dalla normativa vigente, gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente e che ad essi possa “essere corrisposto soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, sulla base di parametri stabiliti dalla cooperativa sociale per la totalità dei soci”.

La risposta del Ministero

Il Ministero del Lavoro ha evidenziato che se con riferimento alla generalità delle imprese sociali, l’art. 13 del d. lgs. n. 112/2017, nel far riferimento alle prestazioni dei volontari nulla dice in merito alle modalità di rimborso delle spese sostenute, con la conseguenza che, con riferimento alle imprese sociali diverse delle cooperative sociali, emerge in tutta immediatezza l’applicabilità di quanto disposto dal comma 4 dell’art. 17 del d. lgs. n. 117/2017. Infatti il codice del Terzo settore dispone che le norme in esso contenute “si applicano, ove non derogate ed in quanto compatibili, anche alle categorie di enti del Terzo settore che hanno una disciplina particolare” e pertanto applicabile anche alla cooperativa sociale.
Anche il Ministero dello sviluppo economico partendo dall’assunto che:
– “seguendo il principio della gerarchia delle fonti si può ragionevolmente ritenere che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 117/2017 sopra citato, alle cooperative sociali si applichino gli articoli da 17 a 19 del d.lgs. n. 117/2017 (…) diretti a disciplinare la figura del volontario che svolge la propria attività tramite l’ente del Terzo settore”,
– considerato che “(…) l’esame di compatibilità effettuato non evidenzia nella citata legge n. 381 una norma ostativa all’applicazione dei suddetti articoli 17-19”,
ritiene che la stessa disciplina sia integrativa di quella speciale dettata dall’art. 2 della L. n. 381 per i soli soci volontari.
Il Ministero del Lavoro dunque alla luce di quanto esaminato conferma l’applicabilità dell’art. 17, comma 4 del D.Lgs. n. 117/2017 ai soci volontari delle cooperative sociali, a condizione che ciò avvenga all’interno di una metodologia complessiva di quantificazione e rimborso delle spese, come previsto dal combinato disposto degli artt. 2, comma 4 della legge n. 381/1981 e 17, comma 4 del d.lgs n. 117/2017
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Fiscalità del servizio paneuropeo Amazon

Il servizio FBA Pan European di Amazon è in forte ascesa tra i venditori nazionali, nonostante le incertezze sul trattamento fiscale dei passaggi di beni dall’Italia ad altri magazzini europei.

  • Identificazione – Il venditore nazionale dovrà procedere con la nomina di un rappresentante fiscale Iva o con l’identificazione diretta Iva nel Paese UE dove vengono depositate le merci, all’interno del magazzino Amazon, per evidenza del passaggio dei beni dall’Italia ad altro Paese UE.
  • Cessione a se stessi – Una volta aperta l’identificazione diretta Iva o indicato il rappresentante fiscale Iva nel Paese europeo, sarà necessario procedere a una cessione intracomunitaria di beni (art. 41, D.L. n. 331/1993: di fatto una cessione intracomunitaria “a se stessi”) nei confronti della propria identificazione Iva UE o rappresentante fiscale comunitario. In pratica, la prima operazione rilevante ai fini Iva è la cessione intracomunitaria tra il venditore soggetto passivo Iva “stabilito” in Italia e il proprio rappresentante fiscale (presentazione degli elenchi Intrastat cessioni di beni).
  • Fatturazione e Iva – Le merci che sono cedute dal deposito comunitario ai consumatori finali esteri devono essere fatturate (o documentate con altro documento fiscale contemplato dalla normativa locale) con Iva estera, utilizzando l’identificazione diretta Iva estera o rappresentante fiscale estero, indipendentemente dal superamento o meno delle soglie previste nei singoli Paesi della UE, che variano attualmente da € 35.000 ad € 100.000.
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Bonus pagamenti elettronici dal 1.12 : cashback

Il Garante della privacy ha dato parere positivo al cosiddetto piano cashback finalizzato a disincentivare l’utilizzo del contante e appena rifinanziato dal Decreto Agosto. In via sperimentale, il rimborso partirà dalle transazioni con carta o bancomat effettuate già dal 1.12.2020: è necessario effettuare minimo 10 pagamenti tracciabili. Sono esclusi gli acquisti online.

La partecipazione al rimborso sarà su base volontaria e passerà attraverso l’app “Io”, già sperimentata per il bonus vacanza. L’installazione richiede 2 passaggi:

  • registrazione: sono richieste credenziali SPID (in alternativa, carta d’identità elettronica CIE con lettore);
  • conferma: dopo la prima registrazione, si accede digitando il PIN scelto o tramite riconoscimento biometrico (impronta digitale o riconoscimento del volto).

Il meccanismo prevede il rimborso del 10% degli acquisti effettuati con moneta elettronica, entro il limite di € 150 a transazione:

  • tetto massimo di spesa € 1.500 a semestre (rimborso massimo di € 300 annui);
  • minimo 50 transazioni elettroniche nel semestre;
  • la somma è accreditata direttamente sul conto cui si riferisce lo strumento elettronico di pagamento, senza alcuna richiesta o formalità.

Il piano cashback prevede anche la lotteria degli scontrini, il cui avvio è annunciato il 1.01.2021. Il sistema è basato su estrazioni con vincite in denaro abbinate allo scontrino fiscale degli acquisti effettuati con mezzi di pagamento elettronici (estrazioni annuali, mensili e settimanali). Le vincite saranno di importo variabile da € 5.000 a 25.000 per i clienti e da € 5.000 a 1.000.000 per gli esercenti.

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Contratto di Rete: vantaggi

Il contratto di rete è stato ultimamente oggetto di attenzione da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che, con la nota n. 274 del 2020, ha evidenziato i requisiti e le modalità da rispettare da parte delle imprese intenzionate a farne ricorso. Inoltre, il legislatore ha intravisto nell’istituto uno strumento per contrastare la crisi economica causata dall’emergenza epidemiologica e, con la conversione in legge del decreto Rilancio, ha introdotto il contratto di rete con causale di solidarietà per la cui sottoscrizione sono previste modalità semplificate.

L’Ispettorato nazionale del lavoro con la nota del 22 giugno 2020, prot. n. 274 ha fornito indicazioni al personale ispettivo per contrastare un utilizzo elusivo del contratto di rete mentre il legislatore, con la conversione in legge del decreto Rilancio, ne incoraggia il ricorso introducendo il “contratto di rete con causale di solidarietà”.

Disciplina di carattere generale

La disciplina del contratto di rete nasce con lo scopo di aiutare le imprese ad “accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. Per raggiungere tale scopo il legislatore prevede la stipulazione di un “programma comune di rete” con il quale più imprenditori possono obbligarsi a:
– collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese;
– scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica;
– esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
La normativa richiede l’iscrizione del contratto di rete nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, a pena di inefficacia dello stesso contratto, il quale può prevedere la possibilità di istituire un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, acquistando soggettività giuridica; in tal caso, tuttavia, il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. n. 82/2005.
Le finalità che sono alla base del contrato di rete hanno suggerito l’introduzione di un importante elemento di flessibilità legato all’istituto. L’ultimo comma dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003, che disciplina il distacco di personale, prevede infatti che qualora questo avvenga tra imprese che abbiano sottoscritto un contratto di rete “l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete (…) e che “per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”. In altri termini, nell’ambito di un contratto di rete si dà per esistente il requisito dell’interesse al distacco, introducendo addirittura una “codatorialità” – e cioè la coesistenza di più datori di lavoro – rispetto al medesimo personale “ingaggiato” secondo le regole che si sono date le imprese partecipanti alla rete.

Utilizzo elusivo e contromisure dell’Ispettorato: la circolare n. 7/2018…

Il contratto di rete, in particolare negli ultimi anni, è stato utilizzato per aggirare alcune disposizioni a tutela dei lavoratori tant’è che, nel 2018, lo stesso Ispettorato nazionale del lavoro ha inteso fornire ai propri Uffici territoriali alcune indicazioni per svolgere una specifica attività di vigilanza.
Con la circolare n. 7/2018 l’Ispettorato aveva infatti evidenziato l’utilizzo del contratto di rete come strumento per aggirare la disciplina in materia di somministrazione di personale, violando in particolare i diritti retributivi dei lavoratori e quelli degli Istituti sulla commisurazione degli oneri contributivi.
A suo tempo l’Ispettorato aveva dunque ricordato che l’efficacia del contratto di rete nei confronti dei terzi, “ivi compresi i lavoratori”, era subordinata alla iscrizione nel registro delle imprese, che pertanto doveva essere verificata da parte del personale ispettivo. In tema di codatorialità, inoltre, si chiariva che la stessa doveva risultare dal contratto di rete, così come doveva risultare dal contratto la “platea” dei lavoratori utilizzati “a fattor comune” al fine di collaborare agli obiettivi comuni.
In tale occasione l’Ispettorato giungeva quindi a sostenere che, nell’ambito del contratto di rete, sia in relazione alla codatorialità sia in relazione al distacco, il lavoratore ha diritto al trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro che procede all’assunzione e che, a fronte di eventuali omissioni afferenti il trattamento retributivo o contributivo, sussiste una corresponsabilità di tutti i co-datori, a far data dalla messa “a fattor comune” dei lavoratori interessati.

… e la nota del 22 giugno 2020

Più recentemente, con nota del 22 giugno 2020, prot. n. 274, l’Ispettorato è tornato a parlare di reti di impresa, nel cui ambito il ricorso al distacco e alla codatorialità deve essere letto con un “approccio interpretativo che tenga conto della coesistenza dell’istituto della somministrazione, al quale il contratto di rete non può totalmente sovrapporsi”.
In tema di distacco nell’ambito di un contratto di rete l’Ispettorato ha dunque evidenziato che l’automatismo normativo concernente l’interesse del distaccante non elimina la necessità di analizzare la complessiva operazione “volta ad escludere che il ricorso alla rete di imprese funzioni da mero strumento alternativo alla somministrazione di manodopera”. In tal senso l’Ispettorato richiede al proprio personale ispettivo di verificare comunque il requisito dell’interesse al distacco, in particolare in relazione alle ipotesi di lavoratori neoassunti ed immediatamente distaccati presso terzi.
Successivamente, dopo aver ricordato che anche negli appalti pubblici le reti di impresa rivestono un ruolo non secondario, la nota si sofferma sul requisito della temporaneità del distacco chiedendo al personale ispettivo di verificare:
a) l’oggetto sociale del distaccante che, qualora sia esclusivamente quello di fornire manodopera, costituisce un forte elemento di criticità laddove il personale messo a “fattor comune” sia distaccato e non somministrato. Ciò in quanto il contratto di rete ed il distacco finirebbero per rappresentare una mera alternativa alla somministrazione di personale, istituto di maggior tutela per i lavoratori;
b) l’eventuale esborso maggiorato da parte del distaccatario, rispetto a quanto dovuto al lavoratore dal distaccante, tale da suggerire la remunerazione di una fornitura di manodopera;
c) la predisposizione da parte dell’impresa distaccante (anche se retista) di un formulario seriale, in cui l’interesse al distacco è indicato in maniera generica e standardizzata, come indizio di un’attitudine professionale del distaccante alla fornitura di manodopera a prescindere da un effettivo e specifico interesse produttivo;
d) distacchi non occasionali ed individualizzati, cioè riferiti a uno o più lavoratori in riferimento a specifiche qualità professionali, ma massivi e generici, cioè riferiti a un gran numero di lavoratori o comunque ad una percentuale significativa dei lavoratori del distaccante, senza riferimento a specificità professionali e/o per qualifiche a c.d. bassa professionalità e/o in lavorazioni labour intensive;
e) distacchi contestuali o di poco successivi all’assunzione da parte del distaccante, tali da poter ricostruire l’assunzione come esclusivamente preordinata al distacco;
f) differenziali retributivi sistematici fra i minimi di CCNL, inferiori, applicati dal distaccante e quelli applicati dal distaccatario, che possono tradursi in un’indebita riduzione del costo del lavoro di quest’ultimo, con palesi conseguenze in termini di tutela dei lavoratori e di vantaggi competitivi anticoncorrenziali per le imprese.

Contratto di rete con causale di solidarietà

La legge n. 77/2020 ha convertito il D.L. n. 34/2020 introducendo l’art. 43 bis, che prevede il c.d. contratto di rete con causale di solidarietà, per la cui sottoscrizione sono peraltro previste modalità semplificate.
La disposizione ha aggiunto all’art. 3 del D.L. n. 5/2009 (conv. da L. n. 33/2009), i commi dal 4 sexies al 4 octies che disciplinano la possibilità, per tutto il 2020, di stipulare un contratto di rete per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali delle imprese appartenenti alle filiere che si sono trovate in particolare difficoltà economica a causa dello stato di crisi o di emergenza dichiarati con provvedimento delle autorità competenti.
In particolare, le imprese che stipulano il contratto potranno ricorrere agli istituti del distacco e della codatorialità, ai sensi dell’art. 30, comma 4 ter, del D.Lgs. n. 276/2003, per perseguire le seguenti finalità, che evidentemente si aggiungono a quelle già normate dal D.L. n. 5/2009:
– impiego di lavoratori delle imprese partecipanti alla rete che sono a rischio di perdita del posto di lavoro;
– inserimento di persone che hanno perso il posto di lavoro per chiusura di attività o per crisi di impresa;
– assunzione di figure professionali necessarie a rilanciare le attività produttive nella fase di uscita dalla crisi.
La normativa introdotta, ai fini degli adempimenti in materia di pubblicità di cui all’art. 3, comma 4 quater, del D.L. n. 5/2009 (iscrizione del contratto di rete nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante) ed in deroga a quanto previsto in via generale, prevede che il contrato di rete “con causale di solidarietà” sia sottoscritto dalle parti ai sensi dell’art. 24 del CAD (D.Lgs. n. 82/2005), con l’assistenza di organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro rappresentative a livello nazionale presenti nel CNEL che siano “espressione di interessi generali di una pluralità di categorie e di territori”.
In questo modo viene dunque esclusa la necessità di una redazione del contratto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
La possibilità di ricorrere a questa nuova tipologia del contratto di rete sembra tuttavia subordinata alla emanazione di una disciplina di dettaglio, dal momento che si rimette ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali la definizione delle “modalità di comunicazione, a cura dell’impresa referente, necessarie per dare attuazione alla codatorialità”.
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CONTRIBUTO DEL 40% PER AFFITTO DI PERSONE E NUCLEI FAMILIARI – REGIONE LAZIO

 

PER CHI

Con questa misura la Regione Lazio sostiene le persone che hanno subito una contrazione di almeno il 30% del reddito del nucleo familiare nel periodo dal 23 febbraio al 31 maggio 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.

IMPORTI

Il contributo è destinato a tutte le persone con un reddito non superiore ai 7.000 euro trimestrali, ovvero circa 28.000 euro annui. Il contributo sarà per tre mensilità e corrisponderà al 40% del costo dell’affitto.

COME

Gli inquilini con regolare contratto dovranno presentare un’autocertificazione della propria situazione economica nel trimestre indicato (23 febbraio al 31 maggio 2020 ) e fare domanda al proprio Comune.
Il Comune raccoglierà la documentazione e stilerà la graduatoria entro 45 giorni per poi assegnare direttamente le risorse.

CONTROLLI

La Direzione regionale competente, insieme agli agenti della Guardia di Finanza accerterà la veridicità delle dichiarazioni rilasciate e a provvederà a sanzionare eventuali trasgressori.

Vedi l’articolo della Regione Lazio

 

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Estesa ai lavoratori autonomi la sospensione dei mutui prima casa

Aggiunta una nuova causale a supporto della richiesta di sospensione ed eliminata la condizione legata al reddito Isee.

L’art. 54 D.L. 17.03.2020, n. 18, per un periodo di 9 mesi (vale a dire dal 17.03.2020) e in deroga all’ordinaria disciplina del fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (cd. fondo Gasparrini), estende le misure anche ai lavoratori autonomi e liberi professionisti che autocertifichino, secondo le ordinarie procedure degli artt. 46 e 47 D.P.R. 445/2000, di aver registrato, in un trimestre successivo al 21.02.2020 o nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e tale data, un calo del proprio fatturato che sia superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019, in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività per l’emergenza coronavirus.
È con l’art. 2 della legge Finanziaria 2008 (L. 244/2007, c. 475 e seguenti) che viene istituito il fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa al Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’art. 26 D.L. 9/2020 è intervenuto sulla disciplina del fondo (nuova lettera c-bis) al comma 479) consentendo di richiedere il beneficio della sospensione del pagamento delle rate del mutuo nell’ulteriore caso di sospensione dal lavoro o riduzione dell’orario di lavoro per un periodo di almeno 30 giorni, anche in attesa dell’emanazione di provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito.
Il fondo, su richiesta del mutuatario che intende avvalersi della facoltà di sospensione per i mutui concessi da intermediari bancari o finanziari, provvede al pagamento degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione.
Sospensione – La sospensione può essere chiesta per non più di 2 volte e per un periodo massimo di 18 mesi nel corso dell’esecuzione del contratto. In tal caso, la durata del contratto di mutuo e delle garanzie relative viene prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione. Al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto tra le parti per la rinegoziazione delle condizioni.
La sospensione non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria e avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive. Non può essere chiesta: nel caso di ritardo nei pagamenti superiore a 90 giorni consecutivi, o quando sia intervenuta la decadenza dal beneficio del termine o la risoluzione del contratto stesso, anche tramite notifica dell’atto di precetto, o sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull’immobile ipotecato; nel caso di fruizione di agevolazioni pubbliche; per i mutui relativamente ai quali sia stata stipulata un’assicurazione a copertura del rischio che si verifichino gli eventi che danno diritto al beneficio della sospensione, a specifiche condizioni.

Scarica il modulo al seguente link

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€ 600 alle partite Iva, prime istruzioni Inps

  • Il messaggio Inps 26.03.2020, n. 1381, fornisce le prime istruzioni per accedere alle misure Covid-19 disposte dal Governo a sostegno di famiglie, lavoratori e imprese individuali.
  • L’accesso ai servizi web è consentito in modalità semplificata per le seguenti domande legate all’emergenza coronavirus di cui al D.L. n. 18/2020:
    • indennità professionisti e lavoratori con rapporto di co..co.co;
    • indennità lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’AGO;
    • indennità lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali;
    • indennità lavoratori del settore agricolo;
    • indennità lavoratori dello spettacolo;
    • bonus per i servizi di baby-sitting.

VAI ALLE PRINCIPALI MISURE A SOSTEGNO DELLA LIQUIDITA’

  • PIN – La modalità semplificata consente di compilare e inviare le specifiche domande, previo inserimento della sola prima parte del PIN, ricevuto via SMS o e-mail, dopo averlo richiesto tramite portale o Contact Center.
  • La richiesta del PIN può essere effettuata attraverso i seguenti canali:
    • sito internet www.inps.it, utilizzando il servizio “Richiesta PIN”;
    • Contact Center, chiamando il numero verde 803 164 (gratuito da rete fissa), oppure 06 164164 (a pagamento da rete mobile).
  • Restano salve le tipologie di accesso ordinarie:
    • PIN dispositivo rilasciato dall’Inps (per alcune attività semplici di consultazione o gestione è sufficiente un PIN ordinario);
      SPID di livello 2 o superiore;
      Carta di Identità Elettronica 3.0 (CIE);
      Carta Nazionale dei Servizi (CNS).

 

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GLI EFFETTI DEL DECRETO 22 MARZO 2020

Il D.P.C.M. del 22 marzo 2020 in vigore da oggi e sino al 3 aprile, riprende e richiama, in un non sempre facile collage, le precedenti disposizioni governative.
La prima cosa da evidenziare è il “periodo cuscinetto” ossia il tempo fornito alle imprese ed ai lavoratori di riorganizzare la propria attività, di andare in ufficio a prendere documentazione utile per lavorare in smart working o per predisporre tutte quelle attività propedeutiche alla spedizione delle merci o alla sospensione dell’attività. Infatti, il comma 4 del provvedimento dispone che “le imprese le cui attività sono sospese per effetto del presente decreto completano le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo 2020, compresa la spedizione della merce in giacenza”. Quindi ogni eventuale nuova sospensione avverrà dal 26 marzo.

Ma quali sono le attività sospese?

Il provvedimento le evidenzia per converso ossia inquadra quelle che possono proseguire a lavorare. Per loro però, al fine di una reale abilitazione allo svolgimento del lavoro, richiama le disposizioni condivise con le parti sociali in data 14 marzo circa la salubrità degli ambienti e la distribuzione dei DPI ai lavoratori, nonché il forte invito allo smart working.
Sono sospese tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’allegato 1 che contiene un nutrito elenco di attività non sospese (sono circa 80) in cui sono ricomprese l’intera filiera alimentare per bevande e cibo, quella dei dispositivi medico-sanitari e della farmaceutica e, tra i servizi, quelli dei call center. È, altresì, precisato che l’elenco potrà essere aggiornato con decreto del Mise sentito il MEF.
Unitamente a queste, l’attuale D.P.C.M. richiama quelle attività commerciali già autorizzate ad operare in forza del D.P.C.M. 11 marzo 2020, come per esempio tutto il settore del commercio alimentare al dettaglio.

Come capire se l’attività è sospesa?

Le imprese e le partite IVA, se non titolari di attività commerciali già autorizzate dal D.P.C.M. 11 marzo, per saper cosa fare da oggi devono prendere la “white list” (allegato 1 al D.P.C.M.), ricercare all’interno il proprio codice di attività e così fare una prima valutazione. Se la ricerca è stata positiva possono proseguire nelle attività.

Se è stata negativa prima di organizzarsi per la sospensione devono effettuare altre verifiche.

Infatti, se le imprese possono organizzarsi in modalità a distanza o lavoro agile possono proseguire l’attività in ogni caso.

Se anche questa possibilità ha dato esito negativo, prima di gettare la spugna ed entrare in “riposo forzoso”, devono controllare se l’attività esercita rientrasse comunque nei punti E – F – G – H dell’art. 1 del D.P.C.M.
Troviamo in questi punti i servizi di pubblica utilità, nonché servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146, l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici, nonché di prodotti agricoli e alimentari, le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti, le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale, previa autorizzazione del Prefetto della provincia ove sono ubicate le attività produttive.
Se anche dopo questa ricerca il nostro imprenditore o il nostro lavoratore autonomo non si fosse riconosciuto nelle attività consentite avrebbe ancora una ultima carta da giocarsi: il comma D.
Questo è il punto più complesso da analizzare.
Infatti. si dispone che restano sempre consentite anche le attività che sono “funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività legittimate a proseguire”. Per queste imprese però vige l’onere di darne tempestiva comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva.
Difficile interpretare con chiarezza cosa significhi essere funzionale ad altre attività e quanto lunga può essere la filiera. In questo caso però l’impresa è obbligata a dare immediata comunicazione al Prefetto per spiegare le ragioni della propria apertura ed attendere la risposta. Vige il principio del silenzio assenso.

Cosa si prevede per le professioni?

I professionisti iscritti agli ordini possono senza dubbio proseguire le loro attività, con tutte le precauzioni del caso e privilegiando lo smart working, in forza di generale abilitazione di cui al punto A e delle specifiche autorizzazioni secondo i codici Ateco.

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L’attesa è essa stessa il decreto.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri 16 marzo il DL recante le nuove misure a sostegno di famiglie, lavoratori e imprese per contrastare gli effetti dell’emergenza coronavirus sull’economia (c.d. decreto “cura Italia”).

Il provvedimento non è stato pubblicato sulla G.U. n. 68.

Nell’attesa vi condividiamo il Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 37 di ieri 16 marzo con le anticipazioni delle principali misure approvate.

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