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Coronavirus: sospendere gli atti impositivi per causa di forza maggiore

Con una nota congiunta del 4 marzo 2020, le Associazioni dei Commercialisti (ADC, AIDC, ANC, ANDOC, FIDDOC, SIC, UNAGRACO, UNGDCEC e UNICO) chiedono al Governo che vengano sospesi gli atti impositivi, in materia previdenziale e tributaria, in particolare quelli con valenza esecutiva, pendenti o successivamente emessi ed insorti, con rinvio di ogni termine sostanziale, di pagamento o di impugnazione nonché processuale, connesso a tali atti sino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria da Coronavirus.

Nella nota congiunta:
– vista la situazione di disagio in cui versano gli uffici pubblici e, nella specie, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia Entrate Riscossione, a causa dell’accesso contingentato agli stessi, imposto da motivi sanitari;
– considerate le disposizioni del D.P.C.M. 4 marzo 2020, che si ripercuoteranno in misura significativa sui medesimi uffici, limitandone ulteriormente il funzionamento;
– considerato che, in presenza di atti impositivi, l’interlocuzione personale presso i medesimi uffici è necessaria al fine dell’indispensabile esercizio del diritto alla difesa del contribuente nella fase precontenziosa, contenziosa ed esecutiva;
– considerato che queste fasi sono soggette a termini decadenziali precisi e perentori;
– considerato inoltre che in presenza di atti esecutivi l’impossibilità o anche solo la difficoltà di accesso agli uffici preposti può tradursi in un grave danno ingiusto per i contribuenti;
– stanti le circostanze di contingenza che determinano un complessivo aggravio delle condizioni di gestione delle imprese;
– vista la facoltà sancita all’art. 9 dello Statuto dei Diritti del Contribuente di sospendere obblighi tributari, inclusi i versamenti, nel caso in cui il tempestivo adempimento degli obblighi tributari sia impedito da cause di forza maggiore;
ritenuta indubbiamente sussistente tale causa di forza maggiore, le Associazioni chiedono la sospensione degli atti impositivi, in materia previdenziale e tributaria, e in specie di quelli aventi valenza esecutiva, pendenti alla data odierna o successivamente emessi ed insorti, con rinvio di ogni termine sostanziale, di pagamento o di impugnazione nonché processuale, connesso a tali atti sino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria la nota.

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UE: Franchigia IVA sino a 85.000 dal 2025

Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea di ieri, è stata pubblicata la direttiva 2020/285/Ue, intervenendo sul regime speciale per le piccole imprese e sulla cooperazione amministrativa tra Stati per l’applicazione del suddetto regime, con effetti dal 1° gennaio 2025.
La modifica principale riguarda la soppressione dell’art. 285 della direttiva 2006/112/Ce, attualmente vigente, e la riscrittura dell’art. 284, oltre all’introduzione di altre norme successive.

In virtù di ciò, si prevede che gli Stati membri dell’Unione potranno esentare dall’IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel loro territorio da soggetti passivi che sono stabiliti in tale territorio e il cui volume d’affari annuo non supera la specifica soglia stabilita dallo Stato membro di stabilimento.
La soglia potrà essere determinata fino a un massimo di 85.000 euro (o del controvalore in moneta nazionale). Attualmente il limite è pari a 5.000 euro, fatta salva la concessione a specifici Stati di fruire di un limite più elevato in forza di specifiche deroghe. Ad esempio, l’Unione europea ha concesso all’Italia di applicare il regime di franchigia dall’IVA sino a 65.000 euro con apposita decisione adottata dal Consiglio.

La direttiva 2020/285/Ue contiene ulteriori norme di semplificazione in favore delle piccole imprese, aventi l’esplicito di intento di ridurre gli oneri amministrativi in capo a tali soggetti e creare un contesto fiscale per favorire la loro crescita e lo sviluppo degli scambi transfrontalieri.
Viene stabilito, per via normativa, che i soggetti passivi che intenderanno avvalersi del regime di franchigia in uno Stato membro in cui non sono stabiliti saranno tenuti a darne previa notifica allo Stato membro in cui sono stabiliti.

Sulla Gazzetta Ufficiale di ieri sono stati, inoltre, pubblicati la direttiva 2020/284/Ue che introduce specifici obblighi comunicativi per i prestatori di servizi di pagamento e il Regolamento 2020/283/Ue modificativo del precedente Regolamento n. 904/2010 relativo alla cooperazione amministrativa tra Stati contro le frodi IVA. Entrambi gli atti legislativi avranno efficacia, negli Stati dell’Ue, a decorrere dal 1° gennaio 2024.

La direttiva 2020/284/Ue è, anch’essa, emanata allo scopo di combattere le frodi in materia di IVA e, a tal scopo, imporrà ai prestatori di servizi di pagamento la conservazione di una documentazione sufficientemente dettagliata e l’obbligo di comunicare determinati pagamenti transfrontalieri, definiti come tali in ragione della localizzazione del pagatore e della localizzazione del beneficiario.

La direttiva si occupa, tra l’altro, di definire i concetti di localizzazione del pagatore e di localizzazione del beneficiario, nonché di individuare i mezzi per l’individuazione di tali localizzazioni.
La localizzazione del pagatore e del beneficiario farà scattare gli obblighi di conservazione della documentazione e di comunicazione unicamente per i prestatori di servizi di pagamento stabiliti nell’Unione europea.

La novità di rilievo che deriva dal Regolamento Ue n. 283/2020 è, invece, l’istituzione di un sistema elettronico centrale di informazioni sui pagamenti (c.d. “CESOP”), a cui gli Stati membri dovranno trasmettere le informazioni sui pagamenti da essi raccolte. Il CESOP dovrebbe archiviare, aggregare e analizzare, in relazione a singoli beneficiari, tutte le informazioni pertinenti in materia di IVA sui pagamenti trasmesse dagli Stati membri.

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Pronte le regole per la lotteria degli scontrini

Per la lotteria degli scontrini attesa al debutto dal 1.07.2020 , bisognerà iscriversi al portale Lotteria Scontrini dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, seguire le istruzioni e ottenere il cosiddetto codice lotteria, cioè un QR code associato al proprio codice fiscale, da mostrare all’esercente attraverso uno smartphone.

Al pagamento dei prodotti acquistati, bisognerà mostrare il proprio codice lotteria al negoziante; il commerciante lo assocerà allo scontrino della spesa, che diventa a tutti gli effetti un vero e proprio ticket elettronico necessario per l’estrazione.

Lo scontrino elettronico trasmesso all’Agenzia delle Entrate sarà condiviso con l’Agenzia delle Dogane e Monopoli, che automaticamente lo associa al titolare del QR code.

Sono previste 3 estrazioni trimestrali: 1° premio da € 50.000, il 2° da 30.000 e il 3° da 10.000, oltre al premio annuale da € 1 milione.

Meccanismo – La lotteria degli scontrini è una vera è propria lotteria con premi in denaro, i cui biglietti sono gli scontrini della spesa. Ogni euro speso dà diritto a 10 ticket elettronici; la spesa minima per poter partecipare è di € 1; se il pagamento avviene attraverso carta di credito o bancomat, si ha diritto al 20% in più di ticket.

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CORONAVIRUS: GESTIONE DELLE ASSENZE DAL LAVORO

La repentina diffusione del contagio del Coronavirus crea situazioni particolari anche nella gestione delle assenze dal lavoro dei lavoratori. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, nell’approfondimento del 24 febbraio 2020, esamina le casistiche nella gestione dei rapporti di lavoro a seguito delle assenze dei lavoratori che possono verificarsi per quarantena, malattia o paura del contagio. I datori di lavoro, inoltre, possono decidere di chiudere le loro aziende volontariamente o a seguito di provvedimento emanati dalle autorità pubbliche.

In quali casi è previsto il diritto alla retribuzione? Si può ricorrere alla cassa integrazione?

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con l’approfondimento del 24 febbraio 2020, esamina le criticità che i datori di lavoro sono tenute ad affrontare nella gestione delle assenze dei lavoratori a seguito dell’emergenza epidemiologica legata alla diffusione nel nostro Paese del Coronavirus.
Assenze dal lavoro
Nel caso in cui i lavoratori non possano recarsi al lavoro a seguito di un’ordinanza della pubblica autorità, la fattispecie che si realizza è quella della sopravvenuta impossibilità a recarsi al lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, mantenendo intatto il diritto alla retribuzione.
Un’alternativa può essere rappresentata dal ricorso allo smart working, tramite la stipula di un accordo one-to-one fra azienda e lavoratore, e il deposito di una comunicazione obbligatoria sul portale istituzionale del Ministero del Lavoro.
Sospensione attività aziendale
In caso di dell’accesso in un determinato comune o area geografica o sospensione delle attività lavorative per i lavoratori residenti nel comune o nell’area interessata è salvaguardato il diritto alla retribuzione, pur in assenza dello svolgimento della prestazione, rendendosi doveroso anche in questo caso il riconoscimento dell’accesso a trattamenti di cassa integrazione guadagni, come preannunciato dal Ministro del Lavoro.
Quarantena obbligatoria
I lavoratori posti in osservazione, in quanto aventi sintomi riconducibili al virus, sono obbligati ad assentarsi dal lavoro con modalità e secondo regole analoghe ai casi di ricovero per altre patologie o interventi. A parere dei Consulenti del lavoro, dunque, tale assenza dovrà essere disciplinata secondo le previsioni, di legge e contrattuali, che riguardano l’assenza per malattia, con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro.
L’eventuale decisione presa dal singolo soggetto di adottare, nelle more della decisione dell’autorità pubblica, un comportamento di quarantena “volontaria”, fondata sui predetti presupposti (o anche in ragione del contatto con soggetti ricadenti nelle condizioni previste), nei limiti dell’attesa della decisione circa la misura concreta da adottare da parte dell’autorità pubblica, può rappresentare comunque un comportamento di oggettiva prudenza, rispondente alle prescrizioni della normativa d’urgenza, e disciplinato conseguentemente come per le astensioni dalla prestazione lavorativa obbligate dal provvedimento amministrativo.
Altre assenze
Qualora l’assenza dal lavoro sia autodeterminata da parte di lavoratori che ritengono il fenomeno dell’epidemia sufficiente di per sé a giustificare l’assenza dal lavoro, senza che ricorra alcuno dei requisiti riconducibili alle fattispecie previste, non costituisce causa legittima di rifiuto della prestazione. In tal caso si realizza l’assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, situazione da cui possono scaturire anche provvedimenti disciplinari irrogati dal datore di lavoro.

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Contanti, segnalati 27.000 rapporti sospetti

Soglia di € 10.000 mensili: le comunicazioni Bankitalia relative ai primi 8 mesi riguardano 33,5 milioni di operazioni e coinvolgono oltre 3 milioni di soggetti.

  • Le comunicazioni per operazioni sospette in contanti relative ai primi 8 mesi rilevati (aprile-novembre 2019) riguardano 33,5 milioni di operazioni (in media 4,2 milioni di operazioni mensili), di cui 2,6 milioni di operazioni riferite a prelievi e 30,9 milioni a versamenti; sono coinvolti oltre 3 milioni di soggetti. Lo comunica la Uif (Unità di informazione finanziaria) della Banca d’Italia.
  • Limiti – Dal 1.09.2019 settembre ha preso avvio la procedura di trasmissione delle cosiddette comunicazioni oggettive, che riportano le operazioni in contanti di importo pari o superiore a € 10.000 complessivi mensili, realizzate anche con singole transazioni pari o superiori a € 1.000.
  • Importi – L’importo complessivo delle comunicazioni oggettive ricevute dalla UIF sfiora € 178 miliardi (€ 10 miliardi i prelievi e € 168 miliardi i versamenti). Il valore mediano si attesta su € 2.000 per i prelievi e € 3.180 per i versamenti. In quasi il 90% dei casi sono state segnalate singole operazioni sotto € 10.000. L’86% dei prelievi e il 98% dei versamenti di contante hanno riguardato movimentazioni di conti.
  • Operazioni sospette – Nel complesso circa 27.000 rapporti censiti nelle comunicazioni oggettive pervenute negli 8 mesi considerati trovano evidenza anche in segnalazioni di operazioni sospette (SOS) ricevute nell’ultimo triennio.
  • Qui il link per il report Uif.
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Bonus bebè: come richiederlo nel 2020 anche senza ISEE

L’INPS ha pubblicato la circolare n. 26 del 2020 che fornisce chiarimenti in merito la bonus bebè per l’anno 2020. Il beneficio è stato esteso ad ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020, prevedendo una modulazione dell’importo spettante per fascia ISEE e una maggiorazione del 20% in caso di figlio successivo al primo. Nel documento di prassi, l’Istituto specifica la corretta gestione delle pratiche in caso di ISEE non rinnovato o con difformità e per la fattispecie di adozioni plurime o nascite gemellari.

Nella circolare n. 26 del 2020, l’INPS illustra le modalità di richiesta del bonus natalità (bonus bebè), previsto anche per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020, fino al compimento del primo anno di età o del primo anno di ingresso in famiglia a seguito dell’adozione del bambino in favore dei nuclei familiari con ISEE superiori alla soglia di 40.000 euro o in assenza di ISEE.

Requisiti del soggetto richiedente

La corresponsione dell’assegno su domanda presentata da uno dei genitori entro 90 giorni dalla nascita oppure dalla data di ingresso del minore nel nucleo familiare a seguito dell’adozione o dell’affidamento preadottivo avvenuti tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020. In tale caso la prestazione, in presenza di tutti i requisiti, è riconosciuta a decorrere dal giorno di nascita o di ingresso nel nucleo familiare del minorenne. Se la domanda è presentata oltre i termini di 90 giorni, l’assegno decorre dal mese di presentazione della domanda.

Maggiorazione per figlio successivo al primo

A partire dallo scorso anno è previsto il riconoscimento di una maggiorazione del 20% dell’importo dell’assegno in caso di figlio successivo al primo, nato o adottato tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020.

Valori ISEE di riferimento

L’INPS riepiloga i valori ISEE di riferimento:
– ISEE minorenni non superiore a 7.000 euro annui l’assegno di natalità è pari a 1.920 euro annui o 2.304 euro annui in caso di figlio successivo al primo; ossia, rispettivamente, a 160 euro al mese (primo figlio) o 192 euro al mese (figlio successivo al primo);
– ISEE minorenni superiore a 7.000 euro annui, ma non superiore a 40.000 euro, l’assegno di natalità è pari a 1.440 euro annui o 1.728 euro annui in caso di figlio successivo al primo; ossia, rispettivamente, 120 euro al mese (primo figlio) o 144 euro al mese (figlio successivo al primo);
– ISEE minorenni superiore a 40.000 euro l’assegno di natalità è pari a 960 euro annui o 1.152 euro annui in caso di figlio successivo al primo; ossia, rispettivamente, 80 euro al mese (primo figlio) o 96 euro al mese (figlio successivo al primo).
In ogni caso, la durata massima di erogazione dell’assegno è stabilita in 12 mensilità.
Per gli eventi avvenuti nel 2020, pertanto, la misura della prestazione effettivamente spettante al nucleo familiare sarà calcolata in funzione del valore dell’ISEE in corso di validità al momento della domanda e potrà spettare, nei limiti di un importo minimo pari a 960 euro annui, anche per importi di ISEE superiore alla soglia massima o in assenza di ISEE.

Domande presentate in assenza di ISEE

Per gli eventi (nascite o adozioni/affidamenti preadottivi) del 2020, in assenza di ISEE in corso di validità al momento della presentazione della domanda (ad esempio, DSU non presentata, ISEE scaduto, DSU senza bambino per il quale l’assegno è richiesto, ecc.), l’assegno di natalità verrà ugualmente corrisposto ma nella misura minima di 80 euro al mese o di 96 euro al mese in caso di figlio successivo al primo. L’Istituto invierà una comunicazione al richiedente contenente l’avvertenza che, in assenza di un ISEE valido, l’Istituto può riconoscere solo l’importo minimo dell’assegno.

ISEE con omissioni o difformità

Nel caso in cui l’attestazione ISEE sia rilasciata con omissioni e/o difformità, il richiedente la prestazione può regolarizzare la situazione:
1) presentando idonea documentazione per dimostrare la completezza e veridicità dell’ISEE;
2) presentando una nuova DSU, comprensiva delle informazioni in precedenza omesse o diversamente esposte;
3) rettificando la DSU, con effetto retroattivo (qualora sia stata presentata tramite CAF e quest’ultimo abbia commesso un errore materiale). In tal caso, all’atto della rettifica il CAF dovrà inserire nel campo “data di presentazione” la data di iniziale presentazione della DSU che si intende rettificare. Giova precisare che tale operazione non è possibile qualora la DSU sia stata presentata con il PIN del cittadino.

Adozioni plurime e parti gemellari

La domanda di assegno deve essere inoltrata esclusivamente in via telematica e, di norma, una sola volta per ciascun figlio nato, adottato o in affidamento preadottivo.
Il modulo “SR163” può essere trasmesso, corredato da copia di un documento di identità in corso di validità, con una delle seguenti modalità:
– allegato in procedura mediante l’apposita funzione “gestione allegati”;
– trasmesso da una casella di posta elettronica certificata (PEC) alla casella PEC della Struttura INPS territorialmente competente;
– trasmesso da una casella di posta elettronica ordinaria alla casella istituzionale della Struttura INPS territorialmente competente;
– consegnato a mano o spedito in originale alla Struttura INPS territorialmente competente.

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Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA)

La RITA è una prestazione previdenziale (strutturale) dalle grandi potenzialità. Ai lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a una forma di previdenza complementare a contribuzione definita consente di ricevere una rendita frazionata della posizione individuale fino al conseguimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. E con un regime fiscale di particolare favore. Al datore di lavoro offre un duplice vantaggio: può essere utilizzato nell’ambito dei processi di turnover aziendale o per gestire eventuali esuberi e consente di ridurre la tassazione sul reddito d’impresa.

Quali sono i requisiti per richiederla?

Sono legittimati a richiedere la RITA i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di 5 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza e i lavoratori disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza. Per entrambe le casistiche è necessario avere il requisito di 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.

Quale è il meccanismo di funzionamento?

Si tratta di un riscatto frazionato, per il periodo individuato (massimo 5 o 10 anni a seconda della fattispecie), del montante accumulato. La prestazione viene percepita dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Va ancora ricordato come si prevede la gestione attiva da parte del fondo pensione (salvo diversa volontà dell’iscritto va nel comparto più prudente) della posizione individuale accumulata anche nel corso di erogazione della prestazione, così da poter beneficiare anche dei relativi rendimenti.

Agevolazioni fiscali

Di particolare favore è poi il regime fiscale della RITA per cui si prevede un significativo profilo agevolativo. Per quel che riguarda l’aliquota, infatti, la RITA subirà un prelievo fiscale consistente in una ritenuta a titolo d’imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali reginali o comunali) con l’aliquota del 15 per cento, con una riduzione dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Vi è in ogni modo la possibilità per l’assicurato che richieda la RITA di optare per l’applicazione integrale della tassazione ordinaria attraverso la propria dichiarazione dei redditi.

Vantaggi per l’azienda

Ponendosi sul versante datoriale è opportuno ricordare, così come sottolinea il Mefop in un interessante approfondimento, come il D.Lgs. 252/05 riconosce alcune significative misure compensative in proporzione al flusso di TFR che non resta nelle disponibilità del datore di lavoro.
Il riferimento particolare è:
– alla deducibilità dal reddito di impresa di una parte del TFR che non resta in azienda,
– alla eliminazione del contributo al Fondo di garanzia del TFR presso INPS,
– alla riduzione dei c.d. oneri impropri.

Deducibilità dal reddito di impresa

Partendo dal primo profilo va evidenziato come sul TFR che esce dall’azienda il datore gode di una maggiore deducibilità fiscale. È infatti possibile dedurre dal reddito di impresa il 4% del Tfr per le imprese con almeno 50 addetti. Se l’azienda ha meno di 50 addetti la deducibilità sale al 6%, ma solo sul Tfr versato nel fondo pensione (non essendo l’azienda interessata dal fondo tesoreria). La misura non porta benefici se l’azienda non produce utili ai fini fiscali.

Contributo al Fondo di garanzia

L’azienda è poi esentata dal versamento del contributo al fondo di garanzia del TFR presso l’INPS.
Il risparmio per il datore è pari allo 0,20% del monte retributivo (in proporzione al Tfr versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria).
Qualora l’impresa sia in utile, una parte del beneficio, incrementando gli utili, è ridotto dall’imposizione sul reddito d’impresa, prosegue il Mefop.

Riduzione dei cosiddetti oneri impropri

Infine, l’azienda ha una riduzione dei cosiddetti oneri impropri, ossia costi sul lavoro relativi a contributi al fondo per la disoccupazione o per la maternità e simili. Tale misura è entrata a regime nel 2014 con un impatto dello 0,28% sul monte retributivo (in proporzione al TFR versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria). Inoltre, il datore di lavoro che viene privato del TFR non è più tenuto a riconoscerne la rivalutazione (1,5% + 75% dell’inflazione) e a pagare la relativa imposta sostitutiva.

 

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Accesso domiciliare ai fini fiscali

L’inutilizzabilità dei dati acquisiti in “luoghi adibiti ad abitazione” o “di pertinenza di terzi” rispetto al contribuente verificato, trova una deroga per le prove solo occasionalmente reperite in tale sede.

In una quanto mai singolare pronuncia, i Giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ. Sez. V, ordinanza 15.01.2020, n. 612) sanciscono che l’inutilizzabilità di prove acquisite mediante accesso domiciliare considerato illegittimo, in quanto operato presso locali adibiti anche ad abitazione e di pertinenza di soggetti terzi rispetto al diretto interessato all’ispezione, si riferisce soltanto a quelle prove per le quali l’accesso risulta preordinato, di cui si ritiene costituisca condizione necessaria, facendo salve quelle informazioni e quei riscontri probatori che trovano nell’accesso una mera occasione. Diretta conseguenza di tale asserzione è la piena legittimazione della raccolta e acquisizione di dichiarazioni di soggetti terzi, ancorché ciò si verifichi nel contesto di un accesso non autorizzato.
Nella pronuncia in commento la Cassazione, oltre a valorizzare l’accessorietà della acquisizione probatoria, rimarca ulteriormente la rilevanza della buona fede degli organi ispettivi che si siano trovati ad accedere in locali, rispetto ai quali difetti la prevista autorizzazione del magistrato competente: conclusione che non esitiamo a definire inaccettabile. L’accesso condizionato, tuttavia, viene proprio imposto ex lege, in ottemperanza di quella tutela costituzionale vigente ai sensi dell’art. 14 della Cost. che, com’è noto, sancisce l’inviolabilità del domicilio. Nella perfetta osservanza del dettato costituzionale, dovrebbe (per meglio dire, deve) essere negata la legittimità di ispezioni, perquisizioni e sequestri, eccezion fatta per le casistiche espressamente sancite dalla legge e soprattutto, secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta personale.
Nonostante l’autorevolezza della Suprema Corte, non ci si può esimere dall’esternare una palese “non condivisione” delle conclusioni raggiunte. In particolare, si rileverebbe una palese utilizzabilità di materiale probatorio acquisito evidentemente contra legem: violazione che si ritiene primaria rispetto all’accessorietà della sua acquisizione (tra l’altro neanche adeguatamente argomentata) e alla buona fede degli organi ispettivi che hanno comunque travalicato i limiti spaziali imposti ex lege. Lo hanno fatto in buona fede? Sicuramente si, ma si tratta comunque di un contegno contra legem.
Nel sistema che presiede all’accertamento dei tributi non trova espressa cittadinanza una sanzione di inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, ove per prove illecite siano da intendere quelle prove formate, acquisite o assunte attraverso atti illegittimi o illeciti o comunque attraverso strumenti che determinano una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo ed in ciò garantiti da norme costituzionali; tuttavia, si ritiene possa trovare applicazione la regolamentazione tipica della c.d. invalidità derivata, mutuabile dal procedimento amministrativo, secondo cui l’inutilizzabilità non abbisognerebbe di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando già da una regola generale di sistema, secondo cui l’assenza di un presupposto nel procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali tale procedimento si articola.
Non sussistendo, nel caso in commento, ipotesi di deroga ai principi testé espressi, non può che ribadirsi la conferma di non condivisibilità della statuizione della V^ Sezione, a meno che non si voglia negare valore alla barriera terminologica imposta dal citato art. 14 della Costituzione.

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Prelievo in contanti dal conto corrente

Sotto un profilo puramente tecnico, il correntista può prelevare fino all’ultimo soldo dal proprio conto corrente. Tuttavia, la banca è tenuta a inviare in automatico una segnalazione all’Uif sui prelievi superiori a € 10.000. La comunicazione in tal caso non viene trasmessa dall’Uif all’Agenzia delle Entrate, ma eventualmente alla Procura della Repubblica.

Una volta in possesso dei contanti, non è consentito trasferirli o spenderli se si tratta di importi superiori a € 3.000 (€ 2.000 dal 1.07.2020), essendo obbligatorio il ricorso a strumenti tracciabili e a un intermediario bancario/finanziario; le sanzioni in materia possono arrivare a € 50.000.

Effettuare l’operazione frazionata (per esempio, 10 prelievi da € 1.000 ognuno) comporta per il correntista sia l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, sia il rischio di una verifica della Procura della Repubblica.

Le sanzioni sono previste non per il prelievo dal conto di somme superiori a € 3.000, ma per operazioni in contante oltre tale importo.

Come noto, sono in vigore presunzioni per le operazioni eseguite da imprenditori (doppio limite ai prelievi: € 1000 al giorno e 5.000 al mese).

Per i titolari di partita Iva, l’orientamento prevalente è l’equiparazione ai contribuenti privati: i prelievi da conto corrente non sarebbero quindi sottoposti a controlli fiscali, per quanto esistano pronunce di segno opposto (equiparazione agli imprenditori).

Infine, si ricorda la norma generale del Tuir secondo cui bonifici e versamenti sul conto corrente, se non giustificati, si presumono reddito da assoggettare a tassazione.

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NUOVA RC AUTO FAMILIARE

Grazie ad un emendamento al Decreto Fiscale da poco approvato, dal 2020 entra in vigore la cosiddetta “RC Auto familiare”, un provvedimento nato col dichiarato intento di diminuire le spese assicurative delle famiglie italiane e, al contempo, ridurre il notevole divario di costi oggi esistente tra Nord e Sud del Paese.

Le novità

Il principio su cui si basa è molto semplice e richiama, ampliandone la sfera applicativa, la Legge Bersani del 2007: la classe di merito più bassa potrà essere trasferita ai veicoli degli altri componenti della famiglia, siano essi a 2 o a 4 ruote. Per fare un esempio, se in famiglia si possiede un motorino in 14a fascia e un’auto in 1a, a partire dal successivo rinnovo della polizza assicurativa, anche il motorino ricadrà nella 1a fascia.

Naturalmente tale trasferimento non è esente da limitazioni, potendo avvenire solo in fase di rinnovo ed essendo necessario che l’attestato di rischio non riporti incidenti con responsabilità esclusiva o principale negli ultimi 5 anni. Inoltre, non può essere applicato agli autocarri, ai mezzi a noleggio o intestati al datore di lavoro.

Secondo le ottimistiche previsioni dei promotori, una famiglia media beneficerebbe di un risparmio pari al 30% – 40% sulla polizza auto RC, con punte addirittura superiori al 50% nel caso di nuclei familiari composti da 4 persone con 2 auto e 2 motorini.