Saracinesche abbassate, insegne spente, porte chiuse: i tanti negozi alle prese con la serrata imposta dal coronavirus sono un’immagine preoccupante non solo come simbolo dell’emergenza sanitaria, ma anche per le ricadute economiche. La domanda riguarda il “come” e il “quando” potranno riaprire tante attività, già duramente provate dalla concorrenza del commercio elettronico. Ma c’è anche un altro aspetto rilevante: la gestione del contratto d’affitto. Infatti, tra i tanti costi fissi cui devono far fronte gli esercenti, spesso ci sono anche i canoni di locazione. Che rappresentano – al tempo stesso – una fonte di reddito per molti locatori (per lo più privati: famiglie o piccoli investitori, in un Paese a proprietà diffusa come l’Italia).
Se il negoziante è in difficoltà con i pagamenti e il proprietario gli accorda un versamento ritardato o dilazionato del canone, anche solo in via di fatto, bisogna ricordare che dovrà comunque versare le imposte sulle somme “maturate” (cioè quelle che risultano da contratto) anziché su quelle effettivamente incassate. Lo prevede l’articolo 26 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).
A tutela di entrambe le parti, conviene comunque tenere traccia scritta – anche solo via email – di ciò che si stabilisce, oltre all’opportunità di eseguire i pagamenti con mezzi tracciabili, così da poterli sempre documentare.
La riduzione formale del canone
Una delle poche norme “flessibili” rissale al decreto sblocca Italia del 2014 (il Dl 133) e prevede l’esenzione da bollo e imposta di registro per gli accordi con cui il locatore concede all’inquilino una riduzione del canone di locazione. Il vantaggio è che la riduzione può anche essere temporanea (allo scadere il canone torna alla misura originaria) e permette al locatore di evitare di versare le imposte su canoni non percepiti. Ad esempio, si può pattuire una riduzione per le sole mensilità di marzo e aprile, ed eventualmente rinnovarla.
Questo accordo va redatto in carta libera, è in pratica una scrittura collaterale al contratto originario, e va registrato alle Entrate con il modello 69 (purtroppo solo in forma cartacea, non telematico) entro 20 giorni dalla data di stipula. Pur senza canali telematici, si può però valutare l’opzione dell’invio del modulo compilato e firmato via Pec.
Chiusura del contratto
Il discorso cambia se una delle due parti vuole liberarsi dal contratto. In questo caso tornano in gioco le regole sulla risoluzione per mutuo consenso (se si concorda la fine del rapporto), per inadempimento o il recesso per gravi motivi. In tutte queste situazioni non è dovuta l’indennità di avviamento commerciale da parte del locatore al conduttore. Ma è sempre importante registrare la risoluzione del contratto alle Entrate per non vedersi chiedere – magari a emergenza finita – le imposte su canoni inesistenti.