La RITA è una prestazione previdenziale (strutturale) dalle grandi potenzialità. Ai lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a una forma di previdenza complementare a contribuzione definita consente di ricevere una rendita frazionata della posizione individuale fino al conseguimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. E con un regime fiscale di particolare favore. Al datore di lavoro offre un duplice vantaggio: può essere utilizzato nell’ambito dei processi di turnover aziendale o per gestire eventuali esuberi e consente di ridurre la tassazione sul reddito d’impresa.
Quali sono i requisiti per richiederla?
Sono legittimati a richiedere la RITA i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di 5 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza e i lavoratori disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza. Per entrambe le casistiche è necessario avere il requisito di 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.
Quale è il meccanismo di funzionamento?
Si tratta di un riscatto frazionato, per il periodo individuato (massimo 5 o 10 anni a seconda della fattispecie), del montante accumulato. La prestazione viene percepita dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Va ancora ricordato come si prevede la gestione attiva da parte del fondo pensione (salvo diversa volontà dell’iscritto va nel comparto più prudente) della posizione individuale accumulata anche nel corso di erogazione della prestazione, così da poter beneficiare anche dei relativi rendimenti.
Agevolazioni fiscali
Di particolare favore è poi il regime fiscale della RITA per cui si prevede un significativo profilo agevolativo. Per quel che riguarda l’aliquota, infatti, la RITA subirà un prelievo fiscale consistente in una ritenuta a titolo d’imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali reginali o comunali) con l’aliquota del 15 per cento, con una riduzione dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Vi è in ogni modo la possibilità per l’assicurato che richieda la RITA di optare per l’applicazione integrale della tassazione ordinaria attraverso la propria dichiarazione dei redditi.
Vantaggi per l’azienda
Ponendosi sul versante datoriale è opportuno ricordare, così come sottolinea il Mefop in un interessante approfondimento, come il D.Lgs. 252/05 riconosce alcune significative misure compensative in proporzione al flusso di TFR che non resta nelle disponibilità del datore di lavoro.
Il riferimento particolare è:
– alla deducibilità dal reddito di impresa di una parte del TFR che non resta in azienda,
– alla eliminazione del contributo al Fondo di garanzia del TFR presso INPS,
– alla riduzione dei c.d. oneri impropri.
Deducibilità dal reddito di impresa
Partendo dal primo profilo va evidenziato come sul TFR che esce dall’azienda il datore gode di una maggiore deducibilità fiscale. È infatti possibile dedurre dal reddito di impresa il 4% del Tfr per le imprese con almeno 50 addetti. Se l’azienda ha meno di 50 addetti la deducibilità sale al 6%, ma solo sul Tfr versato nel fondo pensione (non essendo l’azienda interessata dal fondo tesoreria). La misura non porta benefici se l’azienda non produce utili ai fini fiscali.
Contributo al Fondo di garanzia
L’azienda è poi esentata dal versamento del contributo al fondo di garanzia del TFR presso l’INPS.
Il risparmio per il datore è pari allo 0,20% del monte retributivo (in proporzione al Tfr versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria).
Qualora l’impresa sia in utile, una parte del beneficio, incrementando gli utili, è ridotto dall’imposizione sul reddito d’impresa, prosegue il Mefop.
Riduzione dei cosiddetti oneri impropri
Infine, l’azienda ha una riduzione dei cosiddetti oneri impropri, ossia costi sul lavoro relativi a contributi al fondo per la disoccupazione o per la maternità e simili. Tale misura è entrata a regime nel 2014 con un impatto dello 0,28% sul monte retributivo (in proporzione al TFR versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria). Inoltre, il datore di lavoro che viene privato del TFR non è più tenuto a riconoscerne la rivalutazione (1,5% + 75% dell’inflazione) e a pagare la relativa imposta sostitutiva.