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Bonus bebè: come richiederlo nel 2020 anche senza ISEE

L’INPS ha pubblicato la circolare n. 26 del 2020 che fornisce chiarimenti in merito la bonus bebè per l’anno 2020. Il beneficio è stato esteso ad ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020, prevedendo una modulazione dell’importo spettante per fascia ISEE e una maggiorazione del 20% in caso di figlio successivo al primo. Nel documento di prassi, l’Istituto specifica la corretta gestione delle pratiche in caso di ISEE non rinnovato o con difformità e per la fattispecie di adozioni plurime o nascite gemellari.

Nella circolare n. 26 del 2020, l’INPS illustra le modalità di richiesta del bonus natalità (bonus bebè), previsto anche per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020, fino al compimento del primo anno di età o del primo anno di ingresso in famiglia a seguito dell’adozione del bambino in favore dei nuclei familiari con ISEE superiori alla soglia di 40.000 euro o in assenza di ISEE.

Requisiti del soggetto richiedente

La corresponsione dell’assegno su domanda presentata da uno dei genitori entro 90 giorni dalla nascita oppure dalla data di ingresso del minore nel nucleo familiare a seguito dell’adozione o dell’affidamento preadottivo avvenuti tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020. In tale caso la prestazione, in presenza di tutti i requisiti, è riconosciuta a decorrere dal giorno di nascita o di ingresso nel nucleo familiare del minorenne. Se la domanda è presentata oltre i termini di 90 giorni, l’assegno decorre dal mese di presentazione della domanda.

Maggiorazione per figlio successivo al primo

A partire dallo scorso anno è previsto il riconoscimento di una maggiorazione del 20% dell’importo dell’assegno in caso di figlio successivo al primo, nato o adottato tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020.

Valori ISEE di riferimento

L’INPS riepiloga i valori ISEE di riferimento:
– ISEE minorenni non superiore a 7.000 euro annui l’assegno di natalità è pari a 1.920 euro annui o 2.304 euro annui in caso di figlio successivo al primo; ossia, rispettivamente, a 160 euro al mese (primo figlio) o 192 euro al mese (figlio successivo al primo);
– ISEE minorenni superiore a 7.000 euro annui, ma non superiore a 40.000 euro, l’assegno di natalità è pari a 1.440 euro annui o 1.728 euro annui in caso di figlio successivo al primo; ossia, rispettivamente, 120 euro al mese (primo figlio) o 144 euro al mese (figlio successivo al primo);
– ISEE minorenni superiore a 40.000 euro l’assegno di natalità è pari a 960 euro annui o 1.152 euro annui in caso di figlio successivo al primo; ossia, rispettivamente, 80 euro al mese (primo figlio) o 96 euro al mese (figlio successivo al primo).
In ogni caso, la durata massima di erogazione dell’assegno è stabilita in 12 mensilità.
Per gli eventi avvenuti nel 2020, pertanto, la misura della prestazione effettivamente spettante al nucleo familiare sarà calcolata in funzione del valore dell’ISEE in corso di validità al momento della domanda e potrà spettare, nei limiti di un importo minimo pari a 960 euro annui, anche per importi di ISEE superiore alla soglia massima o in assenza di ISEE.

Domande presentate in assenza di ISEE

Per gli eventi (nascite o adozioni/affidamenti preadottivi) del 2020, in assenza di ISEE in corso di validità al momento della presentazione della domanda (ad esempio, DSU non presentata, ISEE scaduto, DSU senza bambino per il quale l’assegno è richiesto, ecc.), l’assegno di natalità verrà ugualmente corrisposto ma nella misura minima di 80 euro al mese o di 96 euro al mese in caso di figlio successivo al primo. L’Istituto invierà una comunicazione al richiedente contenente l’avvertenza che, in assenza di un ISEE valido, l’Istituto può riconoscere solo l’importo minimo dell’assegno.

ISEE con omissioni o difformità

Nel caso in cui l’attestazione ISEE sia rilasciata con omissioni e/o difformità, il richiedente la prestazione può regolarizzare la situazione:
1) presentando idonea documentazione per dimostrare la completezza e veridicità dell’ISEE;
2) presentando una nuova DSU, comprensiva delle informazioni in precedenza omesse o diversamente esposte;
3) rettificando la DSU, con effetto retroattivo (qualora sia stata presentata tramite CAF e quest’ultimo abbia commesso un errore materiale). In tal caso, all’atto della rettifica il CAF dovrà inserire nel campo “data di presentazione” la data di iniziale presentazione della DSU che si intende rettificare. Giova precisare che tale operazione non è possibile qualora la DSU sia stata presentata con il PIN del cittadino.

Adozioni plurime e parti gemellari

La domanda di assegno deve essere inoltrata esclusivamente in via telematica e, di norma, una sola volta per ciascun figlio nato, adottato o in affidamento preadottivo.
Il modulo “SR163” può essere trasmesso, corredato da copia di un documento di identità in corso di validità, con una delle seguenti modalità:
– allegato in procedura mediante l’apposita funzione “gestione allegati”;
– trasmesso da una casella di posta elettronica certificata (PEC) alla casella PEC della Struttura INPS territorialmente competente;
– trasmesso da una casella di posta elettronica ordinaria alla casella istituzionale della Struttura INPS territorialmente competente;
– consegnato a mano o spedito in originale alla Struttura INPS territorialmente competente.

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BREXIT: USCITA DEL REGNO UNITO DALL’UNIONE EUROPEA – Circolare per la clientela n.06/2020

La presente Circolare analizza i principali effetti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (c.d. “Brexit”), avvenuta il 31.1.2020, distinguendo tra:
– il regime transitorio previsto dall’1.2.2020 al 31.12.2020;
– il periodo successivo al 31.12.2020, salvo diversi e nuovi accordi che dovessero intervenire tra l’Unione europea e il Regno Unito.
In particolare, vengono analizzati i principali effetto nell’ambito:
– dell’IVA e dei tributi doganali;
– delle imposte sui redditi;
– della libertà di stabilimento e dei servizi finanziari;
– della circolazione dei lavoratori e della sicurezza sociale.

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Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA)

La RITA è una prestazione previdenziale (strutturale) dalle grandi potenzialità. Ai lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a una forma di previdenza complementare a contribuzione definita consente di ricevere una rendita frazionata della posizione individuale fino al conseguimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. E con un regime fiscale di particolare favore. Al datore di lavoro offre un duplice vantaggio: può essere utilizzato nell’ambito dei processi di turnover aziendale o per gestire eventuali esuberi e consente di ridurre la tassazione sul reddito d’impresa.

Quali sono i requisiti per richiederla?

Sono legittimati a richiedere la RITA i lavoratori che abbiano cessato l’attività lavorativa e a cui manchino non più di 5 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia purché siano in possesso di un requisito contributivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza e i lavoratori disoccupati da più di 24 mesi cui manchino non più di 10 anni all’età prevista per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza. Per entrambe le casistiche è necessario avere il requisito di 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.

Quale è il meccanismo di funzionamento?

Si tratta di un riscatto frazionato, per il periodo individuato (massimo 5 o 10 anni a seconda della fattispecie), del montante accumulato. La prestazione viene percepita dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Va ancora ricordato come si prevede la gestione attiva da parte del fondo pensione (salvo diversa volontà dell’iscritto va nel comparto più prudente) della posizione individuale accumulata anche nel corso di erogazione della prestazione, così da poter beneficiare anche dei relativi rendimenti.

Agevolazioni fiscali

Di particolare favore è poi il regime fiscale della RITA per cui si prevede un significativo profilo agevolativo. Per quel che riguarda l’aliquota, infatti, la RITA subirà un prelievo fiscale consistente in una ritenuta a titolo d’imposta (senza ulteriore applicazione di addizionali reginali o comunali) con l’aliquota del 15 per cento, con una riduzione dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Vi è in ogni modo la possibilità per l’assicurato che richieda la RITA di optare per l’applicazione integrale della tassazione ordinaria attraverso la propria dichiarazione dei redditi.

Vantaggi per l’azienda

Ponendosi sul versante datoriale è opportuno ricordare, così come sottolinea il Mefop in un interessante approfondimento, come il D.Lgs. 252/05 riconosce alcune significative misure compensative in proporzione al flusso di TFR che non resta nelle disponibilità del datore di lavoro.
Il riferimento particolare è:
– alla deducibilità dal reddito di impresa di una parte del TFR che non resta in azienda,
– alla eliminazione del contributo al Fondo di garanzia del TFR presso INPS,
– alla riduzione dei c.d. oneri impropri.

Deducibilità dal reddito di impresa

Partendo dal primo profilo va evidenziato come sul TFR che esce dall’azienda il datore gode di una maggiore deducibilità fiscale. È infatti possibile dedurre dal reddito di impresa il 4% del Tfr per le imprese con almeno 50 addetti. Se l’azienda ha meno di 50 addetti la deducibilità sale al 6%, ma solo sul Tfr versato nel fondo pensione (non essendo l’azienda interessata dal fondo tesoreria). La misura non porta benefici se l’azienda non produce utili ai fini fiscali.

Contributo al Fondo di garanzia

L’azienda è poi esentata dal versamento del contributo al fondo di garanzia del TFR presso l’INPS.
Il risparmio per il datore è pari allo 0,20% del monte retributivo (in proporzione al Tfr versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria).
Qualora l’impresa sia in utile, una parte del beneficio, incrementando gli utili, è ridotto dall’imposizione sul reddito d’impresa, prosegue il Mefop.

Riduzione dei cosiddetti oneri impropri

Infine, l’azienda ha una riduzione dei cosiddetti oneri impropri, ossia costi sul lavoro relativi a contributi al fondo per la disoccupazione o per la maternità e simili. Tale misura è entrata a regime nel 2014 con un impatto dello 0,28% sul monte retributivo (in proporzione al TFR versato al fondo pensione o al fondo Tesoreria). Inoltre, il datore di lavoro che viene privato del TFR non è più tenuto a riconoscerne la rivalutazione (1,5% + 75% dell’inflazione) e a pagare la relativa imposta sostitutiva.

 

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Accesso domiciliare ai fini fiscali

L’inutilizzabilità dei dati acquisiti in “luoghi adibiti ad abitazione” o “di pertinenza di terzi” rispetto al contribuente verificato, trova una deroga per le prove solo occasionalmente reperite in tale sede.

In una quanto mai singolare pronuncia, i Giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ. Sez. V, ordinanza 15.01.2020, n. 612) sanciscono che l’inutilizzabilità di prove acquisite mediante accesso domiciliare considerato illegittimo, in quanto operato presso locali adibiti anche ad abitazione e di pertinenza di soggetti terzi rispetto al diretto interessato all’ispezione, si riferisce soltanto a quelle prove per le quali l’accesso risulta preordinato, di cui si ritiene costituisca condizione necessaria, facendo salve quelle informazioni e quei riscontri probatori che trovano nell’accesso una mera occasione. Diretta conseguenza di tale asserzione è la piena legittimazione della raccolta e acquisizione di dichiarazioni di soggetti terzi, ancorché ciò si verifichi nel contesto di un accesso non autorizzato.
Nella pronuncia in commento la Cassazione, oltre a valorizzare l’accessorietà della acquisizione probatoria, rimarca ulteriormente la rilevanza della buona fede degli organi ispettivi che si siano trovati ad accedere in locali, rispetto ai quali difetti la prevista autorizzazione del magistrato competente: conclusione che non esitiamo a definire inaccettabile. L’accesso condizionato, tuttavia, viene proprio imposto ex lege, in ottemperanza di quella tutela costituzionale vigente ai sensi dell’art. 14 della Cost. che, com’è noto, sancisce l’inviolabilità del domicilio. Nella perfetta osservanza del dettato costituzionale, dovrebbe (per meglio dire, deve) essere negata la legittimità di ispezioni, perquisizioni e sequestri, eccezion fatta per le casistiche espressamente sancite dalla legge e soprattutto, secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta personale.
Nonostante l’autorevolezza della Suprema Corte, non ci si può esimere dall’esternare una palese “non condivisione” delle conclusioni raggiunte. In particolare, si rileverebbe una palese utilizzabilità di materiale probatorio acquisito evidentemente contra legem: violazione che si ritiene primaria rispetto all’accessorietà della sua acquisizione (tra l’altro neanche adeguatamente argomentata) e alla buona fede degli organi ispettivi che hanno comunque travalicato i limiti spaziali imposti ex lege. Lo hanno fatto in buona fede? Sicuramente si, ma si tratta comunque di un contegno contra legem.
Nel sistema che presiede all’accertamento dei tributi non trova espressa cittadinanza una sanzione di inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, ove per prove illecite siano da intendere quelle prove formate, acquisite o assunte attraverso atti illegittimi o illeciti o comunque attraverso strumenti che determinano una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo ed in ciò garantiti da norme costituzionali; tuttavia, si ritiene possa trovare applicazione la regolamentazione tipica della c.d. invalidità derivata, mutuabile dal procedimento amministrativo, secondo cui l’inutilizzabilità non abbisognerebbe di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando già da una regola generale di sistema, secondo cui l’assenza di un presupposto nel procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali tale procedimento si articola.
Non sussistendo, nel caso in commento, ipotesi di deroga ai principi testé espressi, non può che ribadirsi la conferma di non condivisibilità della statuizione della V^ Sezione, a meno che non si voglia negare valore alla barriera terminologica imposta dal citato art. 14 della Costituzione.

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NUOVA DISCIPLINA VERSAMENTO RITENUTE (chiarimenti ade) – Circolare per la clientela n.05/2020

La presente Circolare riepiloga la nuova disciplina relativa al versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e dei contributi dei lavoratori impiegati nell’ambito dei contratti di appalto o di prestazione di opere e servizi, di cui all’art. 17-bis del DLgs. 241/97 introdotto dall’art. 4 del DL 124/2019 (conv. L. 157/2019), alla luce dei chiarimenti forniti dalla circ. Agenzia delle Entrate 12.2.2020 n. 1.
In particolare, vengono analizzati gli aspetti riguardanti:
– la decorrenza della nuova disciplina;
– i soggetti committenti;
– i soggetti affidatari dell’opera o del servizio;
– i presupposti oggettivi di applicazione della nuova disciplina;
– gli obblighi dell’impresa appaltatrice o affidataria e subappaltatrice;
– le modalità di versamento delle ritenute fiscali;
– gli obblighi del committente e le relative sanzioni;
– i requisiti di affidabilità per la disapplicazione della nuova disciplina;
– il rilascio da parte dell’Agenzia delle Entrate del certificato attestante i requisiti per la disapplicazione della nuova disciplina;
– il divieto di compensazione delle ritenute fiscali e dei contributi obbligatori.

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Prelievo in contanti dal conto corrente

Sotto un profilo puramente tecnico, il correntista può prelevare fino all’ultimo soldo dal proprio conto corrente. Tuttavia, la banca è tenuta a inviare in automatico una segnalazione all’Uif sui prelievi superiori a € 10.000. La comunicazione in tal caso non viene trasmessa dall’Uif all’Agenzia delle Entrate, ma eventualmente alla Procura della Repubblica.

Una volta in possesso dei contanti, non è consentito trasferirli o spenderli se si tratta di importi superiori a € 3.000 (€ 2.000 dal 1.07.2020), essendo obbligatorio il ricorso a strumenti tracciabili e a un intermediario bancario/finanziario; le sanzioni in materia possono arrivare a € 50.000.

Effettuare l’operazione frazionata (per esempio, 10 prelievi da € 1.000 ognuno) comporta per il correntista sia l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, sia il rischio di una verifica della Procura della Repubblica.

Le sanzioni sono previste non per il prelievo dal conto di somme superiori a € 3.000, ma per operazioni in contante oltre tale importo.

Come noto, sono in vigore presunzioni per le operazioni eseguite da imprenditori (doppio limite ai prelievi: € 1000 al giorno e 5.000 al mese).

Per i titolari di partita Iva, l’orientamento prevalente è l’equiparazione ai contribuenti privati: i prelievi da conto corrente non sarebbero quindi sottoposti a controlli fiscali, per quanto esistano pronunce di segno opposto (equiparazione agli imprenditori).

Infine, si ricorda la norma generale del Tuir secondo cui bonifici e versamenti sul conto corrente, se non giustificati, si presumono reddito da assoggettare a tassazione.

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REGIME FORFETTARIO – Circolare per la clientela n.04/2020

La presente Circolare analizza la disciplina relativa all’agevolazione contributiva prevista per gli imprenditori individuali (artigiani e commercianti) che applicano il regime agevolato forfetario previsto dalla L. 23.12.2014 n. 190 (legge di stabilità 2015), come modificato dalla L. 27.12.2019 n. 160 (legge di bilancio 2020).
In particolare, vengono analizzati gli aspetti riguardanti:
– i requisiti che devono essere posseduti per utilizzare il regime agevolato;
– il contenuto dell’agevolazione contributiva;
– le modalità di presentazione della domanda all’INPS;
– il termine di presentazione della domanda da parte dei soggetti che aderiscono per la prima volta all’agevolazione contributiva, che, per avere effetto nel 2020, deve avvenire, a pena di decadenza, entro il 28.2.2020.

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CASSETTE DI SICUREZZA

Un servizio per la tutela dei propri beni di valore, preziosi, documenti personali e investimenti. Un servizio che si sta riscoprendo è quello delle cassette di sicurezza offerto dagli istituti bancari ma anche da società private apposite che mettono a disposizione dei caveau per il deposito di oggetti di valore (ad esempio quadri). Come detto, un servizio che si va riscoprendo anche se pare non sia mai andato in disuso visto che le stime parlano di decine di miliardi conservati nelle cassette di sicurezza, soltanto pensando al denaro contante lì custodito. Ecco un piccolo vademecum per capire di che tipo di servizio si tratti e quali sono le novità in materia.

È un contratto

La decisione di accedere ad un servizio di questo tipo si prende quando abbiamo oggetti preziosi (monete, gioielli, ecc.) ma anche documenti che preferiamo non lasciare in casa, dove è alto il rischio di furti.

Per attivare una cassetta di sicurezza solitamente ci si rivolge alla propria banca, con la quale viene stipulato un contratto vero e proprio, con clausole ben specifiche, dei diritti e dei doveri da rispettare. Il canone annuo parte in genere da € 50,00/ € 100,00 anche se può salire a seconda delle dimensioni. Alcuni istituti lo rendono gratuito per i clienti più facoltosi. Dopo la sottoscrizione del contratto, il titolare della cassetta di sicurezza ne riceve le chiavi e deposita la propria firma e quella di eventuali terzi delegati per l’accesso. Accesso che avviene in totale autonomia, con un funzionario della banca che ogni volta accerta l’identità del cliente e lo accompagna negli ambienti prepositi.

Tutti gli accessi vengono registrati, sia da parte dell’interessato che dei delegati.

Privacy, qualcosa è cambiato

Solo l’intestatario della cassetta di sicurezza ne conosce il contenuto, e lo può gestire come meglio crede. Mentre la banca è tenuta a custodire quei beni con il più alto grado di sicurezza (videosorveglianza, sistemi d’allarme, ecc.).

L’anonimato viene garantito, ma solo per quanto concerne il contenuto della cassetta di sicurezza. Negli ultimi anni, infatti, le leggi in materia sono cambiate proprio riguardo a questioni legate al riciclaggio di denaro o all’evasione fiscale: in un caso di accertamento, infatti, l’Agenzia delle Entrate può ottenere l’eventuale apertura della cassetta di sicurezza, oltre ovviamente ai nomi dei titolari di questo servizio. Dunque, rispetto al passato, se è rimasto elevato il grado di sicurezza di una cassetta bancaria, si è ridimensionato quello della privacy per averne una.

Sicurezza

La banca è tenuta a custodire la cassetta/deposito (e, quindi, i beni della controparte) in un ambiente dove deve essere garantito il più alto grado di sicurezza.

Inoltre, contro episodi spiacevoli in genere sottoscrive una polizza proprio per i risarcimenti in caso di ammanchi dei beni del cliente. In caso di furti o rapine, la materia giuridica spiega che si tratta di casi non fortuiti ma prevedibili, quindi la banca è tenuta al risarcimento.

 

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NUOVA RC AUTO FAMILIARE

Grazie ad un emendamento al Decreto Fiscale da poco approvato, dal 2020 entra in vigore la cosiddetta “RC Auto familiare”, un provvedimento nato col dichiarato intento di diminuire le spese assicurative delle famiglie italiane e, al contempo, ridurre il notevole divario di costi oggi esistente tra Nord e Sud del Paese.

Le novità

Il principio su cui si basa è molto semplice e richiama, ampliandone la sfera applicativa, la Legge Bersani del 2007: la classe di merito più bassa potrà essere trasferita ai veicoli degli altri componenti della famiglia, siano essi a 2 o a 4 ruote. Per fare un esempio, se in famiglia si possiede un motorino in 14a fascia e un’auto in 1a, a partire dal successivo rinnovo della polizza assicurativa, anche il motorino ricadrà nella 1a fascia.

Naturalmente tale trasferimento non è esente da limitazioni, potendo avvenire solo in fase di rinnovo ed essendo necessario che l’attestato di rischio non riporti incidenti con responsabilità esclusiva o principale negli ultimi 5 anni. Inoltre, non può essere applicato agli autocarri, ai mezzi a noleggio o intestati al datore di lavoro.

Secondo le ottimistiche previsioni dei promotori, una famiglia media beneficerebbe di un risparmio pari al 30% – 40% sulla polizza auto RC, con punte addirittura superiori al 50% nel caso di nuclei familiari composti da 4 persone con 2 auto e 2 motorini.

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NUOVA DISCIPLINA VERSAMENTO RITENUTE – Circolare per la clientela n.03/2020

La presente Circolare analizza la nuova disciplina relativa al versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e dei contributi dei lavoratori impiegati nell’ambito dei contratti di appalto o di prestazione di opere e servizi, di cui all’art. 17-bis del DLgs. 241/97 introdotto dall’art. 4 del DL 124/2019 (conv. L. 157/2019), alla luce del provvedimento attuativo dell’Agenzia delle Entrate 6.2.2020 n. 54730 e dei chiarimenti finora forniti dalla stessa Agenzia.
In particolare, vengono analizzati gli aspetti riguardanti:
– la decorrenza della nuova disciplina;
– gli obblighi dell’impresa appaltatrice o affidataria e subappaltatrice;
– le modalità di versamento delle ritenute fiscali;
– gli obblighi del committente e le relative sanzioni;
– i requisiti di affidabilità per la disapplicazione della nuova disciplina;
– il rilascio da parte dell’Agenzia delle Entrate del certificato attestante i requisiti per la disapplicazione della nuova disciplina.


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