L’inutilizzabilità dei dati acquisiti in “luoghi adibiti ad abitazione” o “di pertinenza di terzi” rispetto al contribuente verificato, trova una deroga per le prove solo occasionalmente reperite in tale sede.
In una quanto mai singolare pronuncia, i Giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ. Sez. V, ordinanza 15.01.2020, n. 612) sanciscono che l’inutilizzabilità di prove acquisite mediante accesso domiciliare considerato illegittimo, in quanto operato presso locali adibiti anche ad abitazione e di pertinenza di soggetti terzi rispetto al diretto interessato all’ispezione, si riferisce soltanto a quelle prove per le quali l’accesso risulta preordinato, di cui si ritiene costituisca condizione necessaria, facendo salve quelle informazioni e quei riscontri probatori che trovano nell’accesso una mera occasione. Diretta conseguenza di tale asserzione è la piena legittimazione della raccolta e acquisizione di dichiarazioni di soggetti terzi, ancorché ciò si verifichi nel contesto di un accesso non autorizzato.
Nella pronuncia in commento la Cassazione, oltre a valorizzare l’accessorietà della acquisizione probatoria, rimarca ulteriormente la rilevanza della buona fede degli organi ispettivi che si siano trovati ad accedere in locali, rispetto ai quali difetti la prevista autorizzazione del magistrato competente: conclusione che non esitiamo a definire inaccettabile. L’accesso condizionato, tuttavia, viene proprio imposto ex lege, in ottemperanza di quella tutela costituzionale vigente ai sensi dell’art. 14 della Cost. che, com’è noto, sancisce l’inviolabilità del domicilio. Nella perfetta osservanza del dettato costituzionale, dovrebbe (per meglio dire, deve) essere negata la legittimità di ispezioni, perquisizioni e sequestri, eccezion fatta per le casistiche espressamente sancite dalla legge e soprattutto, secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta personale.
Nonostante l’autorevolezza della Suprema Corte, non ci si può esimere dall’esternare una palese “non condivisione” delle conclusioni raggiunte. In particolare, si rileverebbe una palese utilizzabilità di materiale probatorio acquisito evidentemente contra legem: violazione che si ritiene primaria rispetto all’accessorietà della sua acquisizione (tra l’altro neanche adeguatamente argomentata) e alla buona fede degli organi ispettivi che hanno comunque travalicato i limiti spaziali imposti ex lege. Lo hanno fatto in buona fede? Sicuramente si, ma si tratta comunque di un contegno contra legem.
Nel sistema che presiede all’accertamento dei tributi non trova espressa cittadinanza una sanzione di inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, ove per prove illecite siano da intendere quelle prove formate, acquisite o assunte attraverso atti illegittimi o illeciti o comunque attraverso strumenti che determinano una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo ed in ciò garantiti da norme costituzionali; tuttavia, si ritiene possa trovare applicazione la regolamentazione tipica della c.d. invalidità derivata, mutuabile dal procedimento amministrativo, secondo cui l’inutilizzabilità non abbisognerebbe di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando già da una regola generale di sistema, secondo cui l’assenza di un presupposto nel procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali tale procedimento si articola.
Non sussistendo, nel caso in commento, ipotesi di deroga ai principi testé espressi, non può che ribadirsi la conferma di non condivisibilità della statuizione della V^ Sezione, a meno che non si voglia negare valore alla barriera terminologica imposta dal citato art. 14 della Costituzione.